"L’influenza della mafia sull’economia si è ormai estesa dal Meridione d’Italia ad altre zone del Paese. Pur con differenze, anche significative, il risultato è sempre lo stesso: dinamiche economiche distorte, concorrenza schiacciata e, specie in tempi di crisi, la sirena del denaro a basso o a nessun costo. Lasciare fuori dalla porta i mafiosi dopo averne accettato il denaro, è illusorio quanto l’idea che, superate le difficoltà, si possa restituire il prestito e liberarsi di soci scomodi. Non è così: il mafioso non si farà più estromettere e ricorrerà alla
violenza, se lo riterrà necessario.La mafia entra in contatto con l’impresa imponendo il pizzo alle attività commerciali e tangenti sull’importo dei lavori acquisiti.
Denaro utile alle cosche, certo, ma pagare significa anche riconoscerne la sovranità su un territorio o un settore economico.
Tra gli imprenditori che pagano il pizzo non ci sono solo “vittime” poiché talora sono essi stessi a voler interagire con i boss in base al calcolo (errato) che, giacché si paga, tanto vale usare l’ombrello protettivo mafioso per conseguire sul mercato vantaggi altrimenti impossibili.
In sintesi, alla base di questo patto c’è una convenienza economica ormai riconosciuta dagli stessi imprenditori.
L’alleanza con le imprese è strategica perché permette alle mafie di “agganciare” componenti della società cui non avrebbero altrimenti accesso ed entrare in questa rete di contatti è la loro vera forza, il loro “capitale sociale”. Accanto all’alleanza con le imprese c’è quella con la cosiddetta “area grigia” formata da esponenti di diverse categorie sociali che fiancheggiano le mafie, senza farne direttamente parte. I legami con politici, amministratori e pubblici funzionari, servono ai mafiosi per deviare flussi di denaro, appalti, risorse a loro favore e verso gli imprenditori loro prestanome. Analogamente, per fare affari e riciclare denaro, il mafioso ha bisogno di acquisire le competenze e le relazioni proprie dell’area grigia.
Fino a qualche anno fa, questa analisi era o sembrava valida per le sole regioni di origine delle cosiddette “mafie tradizionali” (cosa nostra, ´ndrangheta, camorra), che là esercitano un significativo controllo del territorio. Oggi, come attestano inchieste e sentenze, l’analisi è valida anche per zone non trascurabili del Centro e del Nord d’Italia, anche se in queste ultime le organizzazioni non esercitano affatto un controllo “militare” del territorio, ma contano piuttosto su importanti reti relazionali, su un numero incredibilmente alto di uomini-cerniera in ogni categoria professionale, oltre che su un complessivo deterioramento del contesto imprenditoriale (e sociale latu sensu). Ha osservato lo studioso Enzo Ciconte in un recente saggio, che per la cultura imprenditoriale del Nord Italia «l’intervento dei mafiosi è un costo e lo considera un affare commerciale come un altro, senza badare alle conseguenze e senza un minimo di etica che pure dovrebbe avere come operatore economico», aggiungendo che questi imprenditori spesso ricorrono prima alla corruzione e poi alla ´ndrangheta, senza tuttavia poterne controllare le dinamiche avendo consapevolezza di una possibile deriva violenta, che trasforma il rapporto in assoggettamento e omertà. Ed è questo, in sintesi estrema, il metodo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p. leggi il resto dell'articolo cliccando qui Il Mattino di Sicilia
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