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venerdì 23 gennaio 2015

La vergogna in casa nostra: diritti negati, lavoro nero, illegalità

Dal sito de "L'Espresso": "Questo c'è dietro il mondo scintillante della moda: un far west di non regole e sfruttamento, precarietà e un lavoro che quando non ammazza non dà garanzie di vivere sopra il limite della povertà. Per capire e contrastare questo mondo è stata lanciata la campagna Abiti Puliti – sezione italiana della Clean Clothes Campaign – che opera per il miglioramento delle condizioni di
lavoro e il rafforzamento dei diritti dei lavoratori nell’industria tessile globale attraverso la sensibilizzazione e la mobilitazione dei consumatori, la pressione verso le imprese e i governi. Nel dossier “Quanto è vivibile l’abbigliamento in Italia?” si mettono in fila fatti e racconti dai principali distretti del made in Italy, dove si dovrebbe produrre qualità dei manufatti e della vita per chi è impiegato e invece si scoprono tutti i mali.

LA VERGOGNA IN CASA NOSTRA
Non è un solo un problema lontano, esotico, che tocca figli, lavoratori e minorenni stranieri impegnati a cucire palloni, scarpe e borse per il mercato globale.

Nei distretti italiani (l’abbigliamento a Prato, la pelletteria a Firenze, le calzature della Riviera del Brenta e il sistema moda della provincia di Napoli) le storture sono note: contraffazione che va a braccetto con il lavoro nero e la produzione totalmente sommersa.

E poi l’apartheid professionale: donne e migranti svolgono le mansioni più ripetitive e semplici, mentre gli uomini sono collocati nei servizi, nella progettazione, nel taglio delle pelli e nel montaggio della calzatura. Solo il modellista che fabbrica il prototipo a partire dai disegni dello stilista si salva, con qualifica e stipendio maggiore.

Per tutti, italiani e non, le condizioni di partenza sono le stesse: provengono dalle classi meno abbienti e con scarsi livelli di istruzione. Tra gli assunti nel periodo 2008-2013 un decimo era senza titolo di studio, la metà disponeva della licenza media, un quinto aveva conseguito un diploma di scuola superiore e solo il 5 per cento la laurea.

Ancora più drammatico il caso della provincia di Napoli, dove la stragrande maggioranza dei lavoratori appartiene al ceto popolare con bassi livelli di istruzione.

Metterli in scacco con nessun diritto riconosciuto, la normalità, come racconta questo operaio: «Di solito facciamo un’ora di straordinario al giorno quando c’è tanto lavoro, però non pagano. Fanno "flessibilità". Se tu superi le 120 ore all’anno, dalla successiva ti pagano un’ora di straordinario. Però noi siamo fortunati, perché se lavoriamo il sabato loro pagano subito, sempre»".

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